L’intelligenza artificiale (AI) per definizione, viene concepita con l’idea di rimpiazzare la mente dell’uomo. Al giorno d’oggi, sono state già create diverse soluzioni in grado di sostituire l’uomo in moltissime attività che possono essere ridotte a una sequenza di task elementari, come filtrare un dizionario per trovare una parola specifica, disegnare una linea da A a B, o riconoscere se in una foto chi che regge il trofeo sorridendo è Ambra o Andrea.
In questo ultimo caso, per esempio, un modello di deep learning può scomporre il task di riconoscere il contenuto di un’immagine in una serie di sub-task elementari, dividendo l’immagine in gruppi di pixel e cercando di capire se essi assomiglino più probabilmente a una piccola parte di Andrea o Ambra. Se un alto numero di gruppi di pixel sembrerebbe rappresentare parti di Andrea, allora il sistema potrà concludere che sia lui ritratto nella foto. Conoscendo i due, noi siamo capaci di capire con un colpo d’occhio chi è ritratto nella foto, e questo modo di procedere per confronti ci sembra laborioso e inefficiente.
Ma non lo è non per un’intelligenza artificiale, che, non avendo la nostra sensibilità, può tuttavia confrontare in maniera asettica migliaia di gruppi di pixel in frazioni piccole di tempo e arrivare alla stessa conclusione. Il vantaggio è che, una volta che abbiamo insegnato a un modello a riconoscere Andrea, allora questo modello potrà potenzialmente trovarlo nel web cercando per milioni di nuove immagini, con una produttività incredibilmente superiore a quella di un essere umano.
Così e in modi molto simili, l’intelligenza artificiale sta rimpiazzando l’uomo all’interno dei processi aziendali, rendendolo semplicemente “poco efficiente”, e quindi preferibilmente rimovibile, nonostante a volte la rimozione sia complessa, perché la tecnologia costa ancora troppo, o è troppo complessa da sviluppare, oppure è troppo rischiosa, perché una soluzione mal concepita può produrre potenzialmente un grosso volume di danni.
Seppur considerando le possibili ripercussioni di questa sostituzione, l’idea di chi scrive è che essere inclini a pensare che l’intelligenza artificiale porterà guerre e carestia, anche nel mondo del business e del lavoro, sembrerebbe essere inappropriato. Dobbiamo evitare di cedere al declinismo, ovvero tendere a pensare, che il futuro, a priori, sia peggiore del presente.
All’uomo rimane il compito di disegnare le soluzioni di intelligenza artificiale, decidendo quale problema si debba risolvere e come.
Disegnare, gestire e migliorare soluzioni di intelligenza artificiale è un array di problemi complessi, che va a toccare sfere eterogenee di conoscenza, e avere a che fare con la creatività, con la matematica, con l’informatica, con il management, con la psicologia, la medicina, e chi più ne ha, più ne metta. Sono poche le persone che nel loro bagaglio culturale posseggono tutte le competenze richieste per sviluppare una soluzione AI, ma non è un problema eccessivo: molti di noi lo stanno superando brillantemente lavorando in team con le giuste modalità e strumenti.
Non è un caso se il management sia oggi concentrato su metodologie che aiutino a organizzare il lavoro di gruppi di persone con background eterogenei come l’agile e il design thinking.
Mettere l’uomo al centro
La conclusione di ciò è che, in fin dei conti, l’intelligenza artificiale, in sé, non è la panacea di tutti i mali della società, come non ne è la sua rovina; e il motto “mettere l’uomo al centro” ha ancora un senso, seppur con un significato diverso.
Autori: Andrea Vinelli, Direttore scientifico SomLab, Luca Vendraminelli, team di ricerca SomLab